Covid-19, perché in questo preciso momento storico?

Nessun fenomeno esiste in se stesso ma sempre in virtù di cause e connessioni. 

Così come non è mai casuale quando una malattia o una sintomatologia si presenta in un determinato momento della vita di una persona, mi sono chiesta: c’è un motivo per cui questa epidemia da Covid-19 è insorta proprio in questo preciso momento storico?

Ho rivolto questa e altre domande alla dottoressa Simona Mezzera, apprezzato medico omeopata.

Una lettura omeopatica può esserci di aiuto perché proprio a Samuel Hahnemann, fondatore dell’Omeopatia, venne l’intuizione di estendere l’approccio omeopatico di osservazione e cura della malattia acuta del singolo individuo anche alla collettività che in un certo momento e in un certo spazio sta affrontando una malattia acuta collettiva, cioè una malattia epidemica. Inoltre nella storia sono stati pubblicati alcuni effetti molto significativi della terapia omeopatica sulla diminuzione della mortalità e dell’incidenza delle malattie epidemiche. 

Nella grave crisi che stiamo attraversando nessuno, in questo momento, ha la verità in tasca e per comprendere il più ampliamente possibile l’esperienza che stiamo condividendo penso sia importante il contributo di tutte le diverse medicine. I saperi e le conoscenze devono integrarsi, sempre, per il bene di tutti.

 

Dottoressa Mezzera generalmente, quando si sente parlare di emergenza infettiva, si tende a considerare la malattia in sé, ma se volessimo valutare le circostanze e il contesto più generale in cui si manifesta, che tipo di considerazioni si potrebbero fare? C’è un motivo per cui una data epidemia o pandemia compare in un certo momento storico, si può ipotizzare un nesso con l’evoluzione dell’umanità?

“La medicina oggi tende a separare i vari organi studiandoli e approfondendo la conoscenza del singolo apparato fino a diventare sempre più specialistica con il rischio di  perdere di vista la complessità del corpo. Viene utilizzato lo stesso modello anche in caso di  malattia, nell’anamnesi si raccoglie l’insorgenza della sua manifestazione e anche quella che viene chiamata anamnesi remota. Lo studio però fra quello che c’è stato alle spalle del paziente e il perché sia  arrivato a quel momento il più delle volte viene tralasciato concentrandosi totalmente sul presente e sul come eliminare il più velocemente possibile i sintomi. Certamente questo è essenziale  nelle urgenze, ma dovrebbe anche esserci un  momento di riflessione su cosa stia succedendo a quella persona.

Nell’affrontare le epidemie il procedimento è simile. C’è la fase di emergenza che deve avere però anche la possibilità di essere vista in modo più ampio, imparando dal passato e cercando di inquadrarla in un contesto più generale che può farci riflettere sulle sue cause perché, se non si agisce su di esse, la terapia è solo parziale e la strada per una nuova manifestazione è aperta. 

Le infezioni che passano da animale a uomo, e da lì da individuo a individuo, ci sono da quando gli uomini hanno iniziato a essere agricoltori e allevatori e hanno iniziato a vivere in gruppi. Le chiamano malattie della civilizzazione. I virus e i microrganismi in genere cercano, come noi, di vivere e lì dove trovano le situazioni più propizie si sviluppano. Li consideriamo come nemici invece di capire come vivono e come si muovono e perché si sviluppano più in certi periodi che in altri, in determinate  zone e in alcuni individui.

Questo per dire che la manifestazione di un evento epidemico della storia è molto complesso e richiederebbe uno studio multidisciplinare. 

Potremmo  dire che una malattia corrisponde e manifesta le criticità di un determinato momento storico. Mentre in passato le cause scatenanti delle varie epidemie erano spesso collegate ai movimenti della popolazione per mancanza di cibo e per invasione di nuove zone più facili in cui vivere, in queste ultime crisi epidemiche i virus hanno approfittato del movimento delle persone per espandersi e infettarne un maggiore numero, ma la causa non è legata a carenza di cibo, non è legata a guerre, né a bisogno di nuove terre, si presentano in società industrializzate dove c’è troppo, non troppo poco. Siamo di fronte a un virus veloce, subdolo, che non dà sintomi, nella maggior parte dei casi, particolarmente eclatanti, per cui si può muovere con i mezzi che abbiamo oggi (treni, aerei) velocemente passando inosservato, silenziando, rallentando e svuotando questo mondo troppo pieno, cambiando perfino in parte l’ambiente e colpendo una società in cui le malattie croniche fanno da padrone anche grazie alla contaminazione ambientale e farmacologica”.

 

Qual è il significato delle malattie, sia individuali che collettive, nella visione omeopatica?

“L’uomo nella medicina omeopatica viene considerato nel suo insieme, un sintomo può manifestarsi in una determinata parte dell’organismo, ma è frutto di un disequilibrio più generale. Come se la patologia che manifesta in quel momento non fosse altro che la punta di un iceberg di qualcosa di sottostante che si può percepire solo in maniera indiretta. Eliminare  la sintomatologia  senza capire cosa la determina a livello più sottile vuol dire sopprimere la manifestazione e  lasciare uno spazio per fare emergere altro. 

Inoltre una malattia acuta che si evidenzia nell’individuo in un dato momento della sua vita, a ben vedere, ha sempre una motivazione. A tutti sarà capitato di avere un’influenza, o una febbre, o qualsiasi altra manifestazione acuta quando o siamo particolarmente stanchi o stressati o qualche emozione violenta e inaspettata ci ha colpito. In quel momento l’organismo va a alleggerire un carico che altrimenti andrebbe a appesantire in maniera più profonda l’economia del corpo.

Le  varie epidemie vengono considerate nello stesso modo, solo che la causa scatenante è collettiva.  In  questo momento, come già detto in altre occasioni, la velocità, la produttività, il non considerare il mondo circostante, la natura come qualcosa da rispettare, lo spingere tutto troppo a vari livelli, il non riuscire a fermarsi andando oltre i nostri limiti in tutti i sensi, ha lasciato lo spazio a qualcosa che ci ha portati in un territorio opposto e ha imposto  di fermarsi”.

 

Questo nuovo ceppo di coronavirus responsabile dell’epidemia, denominato COVID-19, sta coinvolgendo tutti, anche chi non è fisicamente malato e l’ansia è lo stato emotivo più diffuso: ansia per la salute, per il lavoro, per la situazione economica, per il futuro, per le relazioni. L’onda epidemica ha portato solo conseguenze negative? 

“Ha portato sofferenze fisiche e emotive soprattutto nelle regioni più colpite, lutti, separazioni, solitudine. Più ci si allontana dall’epicentro l’ansia e la  paura restano anche se a un  livello differente secondo le inclinazioni delle varie persone. Ha evidenziato anche difficoltà in ambiti a cui a volte si pensa poco, le ostetriche mi raccontano di parti più difficili, forse anche più cesarei di prima, quello che poi mi colpisce di più sono i bambini che hanno stravolto la loro vita, più connessione con computer, video, cellulari, anche le lezioni di danza o ginnastica o musica vengono fatte al computer, mancanza di socialità, importante per la fascia di età dalle elementari in poi, mancanza di spazio, di natura oltre al fatto di sentire costantemente parlare di numeri, di malati, morti.

Queste sono le situazioni che stiamo vivendo oggi, alcune persone però si stanno accorgendo anche del fatto che bisogna cambiare qualcosa in questo nostro modo di vivere, ripensare a quello che si consuma, al fatto che si può vivere con meno,  ho sentito miei colleghi ospedalieri dire che si può medicalizzare meno, si stanno rivedendo delle politiche sbagliate legate alla sanità, insomma qualcosa potrebbe muoversi, se non volessimo solo ritornare alla vita di prima. 

Infine il cambiamento più importante è stato nelle emissioni ambientali. Meno aerei, meno auto, meno trasporti in genere. Si vedono i cieli nelle città, le acque più limpide, tornano gli animali in luoghi in cui prima erano scomparsi. Tutto nell’arco di pochissimo tempo. E come se il virus ci avesse fatto vedere le risorse di cui ancora disponiamo. Bisognerebbe però capire come ritornare a un equilibrio più a portata dell’essere umano senza sacrifici di vite o di altro”.

 

Perché sono gli anziani i soggetti più vulnerabili al Covid-19? Come si spiega, invece, la maggiore incidenza di casi positivi nella popolazione maschile?

“Premetto che di questo virus se ne sa poco, si inizia adesso a conoscerlo, per cui quello che si dice oggi potrà essere smentito domani. Per questo motivo è così inquietante per i più la sua presenza perché il nostro sistema immunitario non ha memorie anche ancestrali di come reagire alla sua presenza. Si  può ipotizzare che la popolazione anziana sia più a rischio, come sempre anche per quanto riguarda le malattie respiratorie e le forme influenzali in genere. Anche se non siamo davanti a un virus influenzale, ma di un’altra famiglia che per certi versi determina una sintomatologia simil influenzale.

Per quanto riguarda il fatto che colpisca più gli uomini dei bambini e delle donne pare sia collegato alla presenza di recettori legati agli androgeni che favoriscono l’entrata del virus nelle cellule polmonari. Secondo altre ipotesi la famosa cascata di citochine che, si è visto, determina la reazione infiammatoria endoteliale a livello polmonare, sembra essere maggiore in soggetti  con aumento del tessuto adiposo o che soffrono di malattie croniche infiammatorie. Però questa ultima ipotesi non fa capire del tutto come le forme più gravi siano in uomini. 

Visto  da un altro punto di vista si potrebbe dire che è un virus democratico che colpisce più le zone industrializzate, quelle inquinate, non in modo particolare gli immigrati, più il nord del sud, oltre a preservare la specie (le donne) e il futuro (i bambini)”.

 

Di immunità di gregge si è parlato molto a proposito di vaccini e più di recente quando il governo britannico ha ipotizzato di considerarla come strategia per fronteggiare la pandemia di Covid-19. In cosa consiste e quali sono le condizioni essenziali perché si possa creare?

“Questo è un tema molto vasto e discusso. Di base si può dire di nuovo che di questo virus ne sappiamo poco, tra l’altro non conosciamo se gli anticorpi, che ora stanno iniziando a testare e che si vedono positivi in persone che hanno contratto il virus,  rimarranno in circolo e per quanto tempo e se quindi ci proteggeranno da una nuova infezione. Parallelamente non si può neppure dire se il vaccino, che comunque avrebbe bisogno di un tempo più lungo per essere testato sia per la sua funzione sia per gli effetti collaterali, potrà coprire un virus così mutevole e potrà anche formare anticorpi di lunga durata. Senza pensare che anche se si sconfiggesse, come molti ne parlano, questo virus,  se ne potrebbero presentare altri in tempi sempre più ravvicinati.

Ritornando alla immunità di gregge, è un concetto che data circa un secolo fa e che nasce dall’osservazione che certe malattie infettive hanno un loro ciclo di comparsa e scomparsa legato al numero di persone suscettibili alla malattia, cioè ai nuovi nati che possono essere contagiati in quanto privi di anticorpi. È il caso delle malattie infettive dell’infanzia per esempio che in genere hanno delle onde di frequenza di 3-4-5 anni secondo il tipo. Di questo concetto si è poi impossessato il mondo medico relazionandolo alla copertura vaccinale per cui si è estesa la percentuale di persone coperte: 60% circa per le malattie naturali, al 95% in caso di vaccini. Per quanto riguarda il Coronavirus dobbiamo, per analogia e non per certezza, attenerci al modello delle malattie naturali e quindi si dovrebbe raggiungere una percentuale del 50-60% ( ? ) delle persone infette affinché il resto della popolazione sia protetta. In questo caso quindi i giovani e le persone con un sistema immunitario più forte dovrebbero fungere da zoccolo per proteggere le categorie più a rischio. Lo stare in questa fase tutti chiusi a casa di certo non garantisce una circolazione nella popolazione oppure crea delle sacche chiuse di infezione”. 

 

In queste settimane di emergenza sanitaria c’è stato un grosso lavoro che ha coinvolto tutto il mondo scientifico. Qual è il contributo che ha portato e che può portare l’approccio della medicina omeopatica?

“La medicina omeopatica da una parte può avere un ruolo preventivo aiutando a scegliere un ritmo e uno stile di vita più consono alla persona ed eventualmente, lì dove ci sia necessità, dando un rimedio adeguato alle caratteristiche e all’individualità per agire sui punti deboli ed aumentarne la reattività; dall’altra parte, nel momento in cui si presentassero dei sintomi più o meno lievi, può identificare un rimedio da una rosa che in questo periodo è stata scelta come la più corrispondente alle manifestazioni cliniche. In effetti in queste settimane, fra omeopati delle varie scuole, c’è stato un grosso lavoro di raccolta dati che ha portato al riconoscimento di un piccolo gruppo di rimedi che sono stati utili, almeno per questo periodo di tempo, nel risolvere i sintomi che si manifestavano nei soggetti sospetti o Covid positivi. Vari omeopati, in tutta Italia, hanno supportato chi stava a casa con sintomi legati a questa infezione e hanno permesso a molte persone di non accedere agli ospedali, se non in caso di necessità, oltre a dare un aiuto telefonico per le varie problematiche correlate a questa emergenza.

Infine, spostando il ragionamento dal micro al macro, come dicevamo a inizio intervista l’approccio della medicina omeopatica può anche aiutare a comprendere come mai questa pandemia sia sorta proprio in questo momento storico. E fare un ragionamento di questo tipo è importante poiché ci aiuta a capire meglio come comportarci per il futuro”.

 

Appunto capire. Nel concludere questo lungo post vorrei soffermarmi proprio su questa parola pronunciata dalla Dottoressa Mezzera. 

Capire è la cosa più giusta che possiamo fare adesso: cercare e ricevere informazioni utili a aumentare la nostra consapevolezza. 

La consapevolezza è l’arma più importante che abbiamo a nostra disposizione. Può aiutarci nel presente ma, soprattutto, determinerà la qualità del nostro futuro. C’è dunque da essere grati ad ogni singolo contributo di riflessione che possiamo ricevere per comprendere meglio la situazione che stiamo vivendo.