Paracetamolo, autismo e iperattività

Uno recente studio pubblicato su JAMA Psychiatry, autorevole rivista di psichiatria, mette in correlazione il consumo di paracetamolo durante la gravidanza con i disordini del neuro sviluppo (tra cui autismo e deficit di attenzione-iperattività). Già altri studi in passato avevano messo in evidenza questo collegamento ma si basavano semplicemente sulle dichiarazioni materne in merito all’assunzione di paracetamolo in gravidanza, invece quest’ultimo lavoro fornisce una prova obiettiva dell’esposizione fetale al paracetamolo in utero. Infatti lo studio si basa sulla misura della concentrazione dei sottoprodotti del metabolismo del farmaco nel sangue del cordone ombelicale. È emerso che maggiore è la concentrazione di queste tracce nel sangue cordonale, maggiore è il rischio che il bambino, entro i 9 anni, manifesti disturbi riconducibili allo spettro autistico o al deficit di attenzione-iperattività. 

Gli autori dello studio riconoscono che questi risultati supportano dati precedenti che collegano l’esposizione al paracetamolo in utero con ADHD e ASD, sottolineano però la necessità di ulteriori ricerche. 

 

Ancora ricerche? 

Per affermare con assoluta certezza il nesso di causalità tra utilizzo di paracetamolo e disordini del neuro sviluppo probabilmente bisognerebbe fare uno studio randomizzato dando alle donne in gravidanza il paracetamolo o il placebo e poi seguendo nel tempo i diversi gruppi di bambini. 

Ovviamente questo non è possibile perché non sarebbe etico. 

Ma se si considera che i risultati di questo studio concordano con altri studi e meta-analisi fatti con altri metodi (vedi a riguardo questo mio precedente articolo: Paracetamolo in gravidanza, bambini a rischio di problemi comportamentali), è inevitabile mettere in discussione l’utilizzo di questo farmaco in un periodo così delicato della vita come la gestazione.

E la questione assume contorni ancora più rilevanti se si considera che il paracetamolo viene utilizzato con frequenza anche nella prima infanzia. Infatti in caso di febbre, anche quella indotta dai vaccini, viene dato normalmente ai bimbi nella maggior parte dei casi. 

 

Dunque mi chiedo: se già vari studi hanno messo in luce la correlazione tra questo farmaco e le successive anomalie nello sviluppo cognitivo del bambino, perché si continua a ritenerlo un medicinale sicuro, a prescriverlo e a utilizzarlo?

Tra l’altro la febbre ha una funzione fondamentale e benefica per l’organismo. 

È un efficace meccanismo di cura ed è bene non intervenire subito su questo sintomo in modo da lasciare che svolga la sua funzione positiva di sostegno del sistema immunitario. 

Ho avuto l’occasione di approfondire l’argomento rivolgendo alcune domande alla Dottoressa Simona Mezzera, medico chirurgo, omeopata e autrice apprezzata di libri sulla salute di adulti e piccini. Cliccando su questo link trovi le sue risposte: L’importanza della febbre, perché è bene non abbassarla subito