“Un cuore che batte”: una firma per la Vita

“Un cuore che batte”: una firma per la VitaRimangono solo pochi giorni per concludere la raccolta di adesioni alla proposta di legge di iniziativa popolare “Un cuore che batte”. Si può firmare presso gli uffici di ogni Comune o ai banchetti allestiti sui territori.
Depositata in Cassazione il 16 maggio scorso da diverse associazioni pro-life (ma non dalle due più legate alla CEI, ovvero ‘Movimento per la vita’ e ‘Difendiamo i nostri figli’), questa proposta di legge mira a integrare l’articolo 14 della legge 194 del 1978 contenente “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” e, in particolare, a introdurre il comma 1 bis che prevede l’obbligo, per il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza, di far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso.

 

Negli Stati in cui questo obbligo è stato approvato (Ungheria e alcuni Stati degli USA) molte mamme hanno cambiato idea e consentito ai propri bambini di venire al mondo. Perché un conto è procedere credendo di avere dentro di sé “solo un grumo di cellule”, diverso è sentire e prendere consapevolezza che nel proprio ventre c’è un cuore che batte.
Oltretutto è anche obbligo giuridico e deontologico del medico che la donna riceva un valido consenso informato.
La stessa legge 194, peraltro, si apre sottolineando il valore sociale della maternità e l’importanza della tutela della vita umana dal suo inizio. Troppo spesso, tuttavia, coloro che chiedono di abortire si ritrovano poi proiettate in un iter velocissimo che finisce per non rispettare i vincoli e gli inviti previsti dalla stessa legge in capo ai consultori e alle strutture sociosanitarie per aiutare le donne a risolvere quelle cause che potrebbero indurle all’interruzione della gravidanza.
Ben venga, allora, l’aggiunta di un comma che aiuta le madri ad avere piena coscienza di quello che stanno facendo, rendendo la loro autonomia decisionale più piena e consapevole.

 

Per presentare questa proposta di legge in Parlamento, è necessario raggiungere almeno 50.000 firme entro il 7 novembre e, al momento, appare difficile arrivare a tale numero, mancando all’appello delle associazioni che hanno promosso l’iniziativa, due nomi di peso del mondo pro-life come il ‘Movimento per la vita’ e il ‘Comitato difendiamo i nostri figli’.
Non è detto, però. Perché, probabilmente, ci sono molte più persone intenzionate a difendere la vita al suo esordio tra i non credenti di quanto si pensi. Motivo per cui è opportuno far circolare le informazioni per permettere a un maggior numero di individui di venire a conoscenza di questa proposta di legge. I moduli e tutta la documentazione necessaria per l’attivazione della raccolta firme, infatti, sono state inviati da tempo tramite PEC in tutti i comuni d’Italia. Se si è interessati si può, quindi, telefonare al Comune di residenza per sapere se effettivamente è stata attivata la raccolta firme e in quale ufficio e orari si può firmare. Se si scopre che non è stata ancora attivata la raccolta firmesi può telefonare al 346 70 35 866 per segnalarlo.

 

Non solo i laici possono farsi promotori di questa battaglia per la tutela dei bambini non ancora nati e diffondere questa informazione. Sarebbe utile (e normale) che anche i sacerdoti nelle varie parrocchie si spendessero a favore di questa iniziativa ricordando dal pulpito ai fedeli che c’è questa possibilità, seppur le coscienze, purtroppo anche quelle dei cattolici, siano ormai assuefatte a questo massacro.
Massacro, sì.
È un termine forte, ma l’ho usato volutamente. Chi se la sente, può vedere QUI (rese linkabili all’interno di questo precedente articolo) le immagini di aborto che sono state legittimamente fotografate da cliniche abortiste funzionanti. Sono orribili e strazianti. Mostrano pezzi insanguinati e mutilati di piccoli corpi perché a 7/9 settimane il bambino è formato in maniera incredibile, ha il sistema nervoso (quindi sente dolore), ha occhi, orecchie, gambe, braccia, bocca, mani, piedi e dita visibili. Tutto minuscolo, ma tutto già perfetto.

 

Chi crede che andare a firmare sia una cosa giusta, deve farlo velocemente, perché il 7 novembre è vicino. È inutile fare proclami, anche dagli altari, a tutela della vita, della maternità, della speranza e poi non agire quando è il momento di farlo.
In realtà, alcuni vescovi (il Cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova e in passato presidente della Cei e del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa; il Vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea Attilio Nostro; quello di Terni Francesco Antonio Soddu; quello di Sanremo-Ventimiglia Antonio Suetta), e alcuni sacerdoti hanno già aderito, ma in generale non si può dire che il clero abbia sposato la causa con ardore. Un paio di sacerdoti, ai quali ho chiesto informazioni nei giorni scorsi, non conoscevano minimamente questa iniziativa. Il che fa pensare che, all’interno della Chiesa, o almeno in parte di essa, non sia stata affatto pubblicizzata e, di conseguenza, che in qualche modo si sia preferito evitare di portarla a conoscenza di tutti i fedeli.

 

Questa proposta di legge, tra l’altro – giusto per rispondere alle obiezioni di quanti, scandalizzati, parlano di “inopportune ingerenze” e di povere “donne costrette a sentire il cuore del loro bambino prima di abortirlo, come in Ungheria” – nulla toglie alle disposizioni della legge 194. Semplicemente aggiunge, per la donna, un diritto che è già riconosciuto dalla legge 219/2017 in materia di consenso informato, e che dovrebbe essere il cardine della Sanità: quello cioè che ogni persona destinataria di un qualsiasi trattamento sanitario debba essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo i rischi ai quali va incontro e alle possibili alternative.
E le alternative, va ricordato, ci sono per quelle mamme che non volessero tenere con sé i propri bambini ma decidessero, una volta sentito il battito cardiaco, di non togliere loro la vita: l’accoglienza adottiva, l’affido e il sostegno. 
Sono prospettive capaci di avvalorare una libertà che si orienta alla vita piuttosto che alla morte.