Le sostanze perfluoroalchiliche, note come PFAS, che si possono trovare in molti prodotti di utilizzo quotidiano, possono portare a una riduzione netta della fertilità delle donne secondo uno studio pubblicato su Science of the Total Environment.
La ricerca è stata effettuata su 1032 donne in età riproduttiva viventi a Singapore e gli autori hanno misurato per circa tre anni queste sostanze nel plasma raccolto dalle partecipanti evidenziando che una maggiore esposizione a tali composti, singolarmente e come miscela, era associata a una ridotta probabilità (fino al 40%) di ottenere una gravidanza entro un anno dal follow up e di partorire una creatura viva.
I PFAS sono onnipresenti, l’uso diffuso di questi composti è legato alle loro caratteristiche: stabilità chimica e termica, impermeabilità all’acqua e ai grassi e capacità di rendere i materiali a cui sono applicati repellenti all’acqua, all’olio e resistenti alle alte temperature. Si trovano, per questa ragione, in diversi prodotti di consumo commerciali e industriali di uso quotidiano, ad esempio in pentole antiaderenti, detergenti per la casa e tessuti impermeabili. Sono utilizzati anche in alcuni articoli medicali (ad esempio impianti e protesi mediche, teli e camici chirurgici); nelle carte; negli imballaggi (compresi quelli che sono a contatto diretto con gli alimenti); nei prodotti da costruzione; nell’elettronica; nei prodotti antincendio.
Se non sono ben monitorate durante i processi di lavorazione industriale, queste sostanze hanno anche la capacità di filtrare nelle acque sotterranee, di accumularsi di conseguenza nelle piante e di entrare nella catena alimentare.
Studi precedenti a quello sopra citato hanno dimostrato che possono compromettere il funzionamento riproduttivo nei topi femmina, mentre questo lavoro scientifico è il primo a mostrare l’impatto sulla fertilità degli esseri umani. Si tratta, infatti, di composti che sono in grado di interferire con gli ormoni e ci sono ricerche che li collegano anche a casi di ritardata pubertà, aumento di casi di endometriosi e di ovaio policistico. Ma non solo: studi su animali di laboratorio mostrano che l’esposizione continuativa a PFAS è in grado di danneggiare fegato, tiroide, sistema immunitario e aumentare il rischio di alcune neoplasie.
Purtroppo, l’esposizione a queste sostanze inizia molto presto già in utero trasferendosi quindi dalla madre al feto, infatti alcuni PFAS sono stati rilevati nel sangue del cordone ombelicale, nella placenta e nel latte materno.
Limitare più possibile il contatto con questi composti sarebbe essenziale, dunque, per proteggere la salute di tutti e in particolare quella delle donne in età fertile e chi pianifica una gravidanza dovrebbe prendere precauzioni per evitare l’esposizione specialmente nel periodo dedicato al concepimento.