Pane finto-integrale: come riconoscerlo e perché evitarlo

Pane integraleLe cose stanno così: la maggior parte dei prodotti venduti come integrali in realtà non lo sono. Pane, pasta, fette biscottate, crackers, biscotti, dolci e altre creazioni da forno sono integrali solo di nome e non di fatto perché realizzati in realtà con farina raffinata a cui viene aggiunta una manciata di crusca.

 

La farina bianca, benché sia stata totalmente privata delle sostanze nutritive, viene utilizzata nell’industria alimentare perché si conserva a lungo mentre quella integrale, essendo naturale, dopo alcuni mesi è rancida. Inoltre la farina raffinata asseconda meglio, in modo più produttivo, il lavoro delle macchine e proprio per agevolare il movimento rotatorio delle impastatrici viene anche spesso addizionata con lieviti chimici, sbiancata con agenti appositi e impastata durante la lavorazione con grassi il più delle volte saturi che fanno male, ma costano meno, perché sono le ragioni dell’economia a prendere il sopravvento.

 

È il caso di dire, oltre alla beffa, il danno perché IL FINTO INTEGRALE DANNEGGIA LA NOSTRA SALUTE.
Da un lato ha le caratteristiche per nulla sane della farina bianca 0 e 00 che:

  • durante la digestione diventa una specie di colla che con il tempo ricopre di uno strato sempre più spesso le pareti dell’intestino ostacolandone il funzionamento;
  • fa parte di quel gruppo di alimenti che andrebbero consumati solo occasionalmente perché fanno aumentare rapidamente il livello di glucosio nel sangue stimolando la produzione di insulina (un’eccesiva produzione di insulina favorisce il cancro);
  • essendo privata degli strati esterni del chicco e del germe del grano la farina bianca ha valore energetico ma non nutritivo ed è, invece, potenziata artificialmente di glutine che è una proteina che si trova naturalmente nei chicchi, ma che oggi non è più presente in quella che era la percentuale fissata dalla natura bensì di parecchio accresciuta attraverso vari processi di modificazione indotti dall’uomo (questo innaturale potenziamento mette gravemente in crisi il normale funzionamento del sistema immunitario).

Infine la crusca aggiunta alla farina raffinata, oltre a essere devitalizzata essendo un residuo della lavorazione di raffinazione (quindi non più in grado di apportare alcun valore nutritivo), va anche a irritare l’intestino come una sorta di carta vetrata e riduce inoltre l’assorbimento del ferro e del calcio.

 

Se si considera che quotidianamente la maggior parte della gente consuma prodotti realizzati con queste farine raffinate, iperglutinate, arricchite di crusca, lieviti chimici e grassi saturi si può capire quanto ciò possa incidere sulla salute. Non è infatti il consumo occasionale a essere dannoso, ma quello regolarmente ripetuto ogni giorno: biscotti, fette biscottate, pane, merendine che vengono propinate ai bambini, pasta, pizze e via …l’offerta dei cosiddetti prodotti da forno è ampia e totalmente fruita.

 

COME POSSIAMO DIFENDERCI?

A guardare bene alcuni di questi prodotti si possono riconoscere perché ad esempio un “falso pane integrale” ha un colore abbastanza chiaro (dovuto alla farina raffinata al massimo) ed è inframmezzato da punti scuri (la crusca ri-aggiunta), mentre un pane integrale autentico ha un colore ambrato piuttosto uniforme (e un sapore inimitabile).
Un altro utile segno indicativo sono gli alveoli. Se sono molti o molto grandi, vuol dire che sono state usate farine di forza, come ad esempio la Manitoba, un tipo di farina che inizialmente veniva dal Canada; attualmente invece sono definite “Manitoba” le farine con W (W indica la forza della farina) superiore a 350 indipendentemente dalla zona di produzione e dalla varietà di grano con la quale vengono ottenute. In genere si tratta di farine raffinate ottenute da grani moderni molto ricchi di glutine (con azione infiammatoria ed effetti negativi su colesterolemia e funzionalità intestinale).

 

Non sempre però la differenza è facilmente riscontrabile con un’occhiata.

 

Impariamo allora a leggere le etichette degli alimenti che compriamo.
Magari si perderà più tempo per fare la spesa, ma i prodotti veramente integrali e sani si possono trovare, con un poco di pazienza, non solo nei negozi specializzati in alimentazione bio, a volte anche sugli scaffali di certi supermercati.
Ci sono paste e pani fatti davvero con farine di grani autoctoni coltivati e molati ancora come un tempo, senza manipolazioni chimiche o industriali. Sono per lo più prodotti da piccoli mulini e pastifici locali che coltivano e lavorano ancora sementi naturali. Scegliamoli. Forse spenderemo qualcosa di più, ma ne vale la pena. Meglio spendere oggi in cibi buoni che domani in medicine.

 

Oppure possiamo preparare il pane in casa, antica e sana abitudine da recuperare.
L’ideale sarebbe utilizzare farine integrali di grani antichi macinati freschi (da non più di 6-8 mesi) provenienti da agricoltura biologica per evitare i residui di fitofarmaci.
In alternativa si può ricorrere a piccoli mulini domestici di poco peso e poco ingombro che ormai si trovano con facilità e che permettono di ricavare in pochi minuti dai chicchi di cereali o legumi (sempre bio) la quantità di farina utile alla necessità del momento con la garanzia della massima genuinità e vitalità.

 

In ogni caso, sia nell’acquisto che nella preparazione casalinga del pane, bisogna stare attenti alla cottura poiché i cibi ricchi in amido, cotti ad alte temperature, formano acrilammide, una sostanza in grado di causare, nel tempo, tumori e danni neurologici.
Bene quindi evitare di comprare o sfornare pani con una crosta troppo scura (deve essere leggermente dorata) perché più un pane (o un cotto al forno oppure fritto) sarà scuro, più alto sarà il livello di acrilammide.
Riduciamo, dunque, la temperatura di cottura e preferiamo lievitazioni lunghe, con pasta madre: la lievitazione naturale, infatti, abbassando il pH dell’impasto, limita la formazione dell’acrilammide. Inoltre favorisce digeribilità e conservazione (si mantiene anche 10 giorni) e anche il gusto ne guadagnerà.

 

E visto che ho nominato la pasta madre, aggiungo che c’è una differenza abissale tra il pane a lievitazione naturale (quello fatto appunto con la pasta madre) e quello realizzato con il lievito di birra.
I batteri lattici della pasta madre producono enzimi ad attività proteolitica in grado cioè di degradare le proteine del glutine (ovvero gliadina e glutenina). Questo vuol dire che mentre facciamo lievitare l’impasto del pane prima di infornare, quindi durante la fermentazione, i batteri lattici fanno un lavoro di “scomposizione” delle proteine, in particolare della gliadina che viene  ridotta in aminoacidi a minor peso molecolare. Questo rende il pane molto più digeribile. Ciò non si verifica invece attraverso il lievito di birra perché non contiene batteri, ma solo lieviti.

 

Autoprodurre la pasta madre è facile, si ottiene dalla fermentazione di acqua e farina. Non è necessario aggiungere altro, è però un procedimento un po’ lungo (occorrono una decina di giorni) e poi continuamente (ogni due-tre giorni) la madre va rinfrescata aggiungendo nuovamente acqua e farina. Indubbiamente è un poco impegnativo, non tutti hanno la pazienza o il tempo, ma chi ha provato sa bene che poi il pane è davvero più buono.
E non è solo una questione di gusto, ma proprio di salute che sempre è frutto del nostro impegno e delle nostre scelte quotidiane.
A partire dalle cose semplici, come appunto il pane.