Essere il primo medico di noi stessi

Essere il primo medico di noi stessiLa parola responsabilità significa abilità a dare una risposta.

Nella terapia non è possibile fare ciò che nel marketing viene definito ‘fidelizzazione del cliente’. Dopo un certo tempo il paziente, teoricamente, non dovrebbe aver più bisogno di noi perché non solo sta bene, ma ha imparato anche a mantenere questo stato. Non dobbiamo aver timore di insegnargli e di renderlo consapevole; non esiste conoscenza senza consapevolezza: è importante che affini le proprie percezioni e riesca a decifrare i messaggi che provengono dall’interno del suo corpo. Se impara ad ascoltare i segnali interiori potrà autoguarirsi.

Questa è la vera azione preventiva, in quanto non c’è miglior medico di noi stessi.

Educare la persona ad affinare l’ascolto di sé farà sì che essa non aspetti la comparsa del male per chiedere una terapia, perché già molto prima della comparsa del sintomo si è resa conto che qualcosa non funziona.
L’acquisizione di consapevolezza, dunque, è un percorso di conoscenza in cui sono riallacciati i canali del corpo con quelli della mente e l’uomo può riappropriarsi di quella saggezza originaria istintiva che egli possedeva anticamente e sulla quale regolava la propria vita.

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Così Gabriella Artioli, naturopata specializzata in tecniche corporee per il mantenimento e il perseguimento del benessere.

 

Si può lavorare sul corpo in molti modi.

 

Con tecniche di massaggio, ad esempio lo Shiatsu, che agisce sull’energia che circola lungo i meridiani, canali che secondo la Medicina Tradizionale Cinese scorrono lungo tutto il corpo. Questa energia può essere in difetto o in eccesso nelle zone dei punti di pressione; quindi, il massaggio andrà a tonificare o disperdere.

 

Oppure si può lavorare sul corpo con tecniche riflessogene, come l’Auricoloterapia, la Riflessologia e l’Agopressione che, a differenza dell’Agopuntura (di stretta pertinenza di un medico specializzato), non utilizza aghi bensì pressioni o picchiettamenti di punti specifici.

 

Oppure, ancora, si può lavorare con sul corpo con tecniche di manipolazione, quali la Chiropratica (lavora sulle articolazioni), l’Osteopatia (lavora sulle ossa, i visceri, la fascia connettivale), la Terapia Craniosacrale (concentra il lavoro sul liquido cerebrospinale), il Rolfing (vigoroso e quasi doloroso impastamento della fascia connettivale profonda), il Metodo Trager (massaggio molto delicato quasi uno sfioramento della pelle con piccoli movimenti oscillatori).

 

O, ancora, si può lavorare sul corpo attraverso tecniche di movimento, quali il Metodo Feldenkrais che si può praticare tramite lezioni individuali (in cui l’insegnante guida i movimenti del corpo con le proprie mani), oppure attraverso lezioni di gruppo in cui la persona sperimenta attivamente le sequenze proposte dall’insegnante. In entrambi i casi il lavoro mira a raggiungere la consapevolezza della relazione tra corpo e mente nella sua armonia e cioè a far essere sempre consapevoli di quel che il corpo fa. “Se sei consapevole di ciò che fai, puoi fare quel che vuoi”, diceva Feldenkrais che era un ingegnere e fisico e aveva anche condotto particolari studi sull’anatomia, sulla psicologia e sulla neurofisiologia.

 

Infine, si può lavorare sul corpo anche con tecniche di respirazione e rilassamento (Respirazione Yogi, quella Quadrata Tibetana, il Metodo Buteyko, il Rebirthing e il Training Autogeno) o tecniche di contatto energetico (come, ad esempio, il Reiki).

 

Il corpo registra tutte le contrazioni, i dolori, il disagio che si verificano in qualsiasi parte del sistema e le varie tecniche e terapie corporee, seppur con modalità e intensità diverse, mirano al recupero di quella funzionalità che permette di affrontare in modo equilibrato gli stress quotidiani e i momenti di crisi e puntano anche al raggiungimento di un completo benessere psicofisico.

 

Nella medicina moderna, e anche nella vita di tutti noi, l’atto di toccare con intento e consapevolezza è diventato raro. In realtà, rappresenta un gesto antico di attenzione, cura, calore e anche di comunicazione, che ha una importante valenza terapeutica e una grande efficacia preventiva.
Il lavoro sul corpo, infatti, riesce ad agire molto in profondità, ma
i risultati migliori si ottengono quando si crea una buona alchimia tra l’operatore e chi riceve il trattamento, il che implica necessariamente una grande fiducia. Inoltre, perché i suoi effetti perdurino nel tempo, le persone devono anche comprendere il messaggio che il sintomo porta con sé. Il corpo ci parla e, quando riusciamo ad interpretare correttamente il messaggio, abbiamo già fatto il primo passo verso la guarigione.

 

Il secondo passo è cambiare, abbandonando quelle abitudini che, nel tempo, hanno fatto perdere lo stato di armonia e di equilibrio.
Non è facile, ma si può fare.
Senza fretta, ma senza sosta.
Un giorno alla volta, partendo da piccoli passi, proseguendo con costanza.
L’importante è smettere di funzionare in modo inconscio e automatico e cercare di conquistare sempre maggiore consapevolezza.

 

Nel momento in cui siamo consapevoli è molto difficile mantenere abitudini tossiche perché la consapevolezza vigile fa sì che ci rendiamo conto immediatamente dei conseguenti effetti deleteri.
La presenza lucida e attenta consente anche di scoprire le ragioni per cui siamo portati a mantenere un’abitudine non sana. E quando le ragioni vengono alla luce, è più facile far cessare quel determinato comportamento e sostituirlo con un altro capace di migliorare la qualità della nostra vita.

 

Si dice che occorrano 21 giorni per cambiare abitudini. Servirebbero, cioè, tre settimane per incorporare nuove abitudini nella propria routine.
In effetti, ho potuto constatare che la maggior parte delle volte è così.  Occorre, però, anche una forte motivazione, altrimenti è facile cadere nell’auto-sabotaggio.

 

Ci lamentiamo spesso che la gestione della salute oggi sia nelle mani di altri.
Ecco, se vogliamo stare bene, dobbiamo necessariamente assumerci la responsabilità della nostra felicità e della nostra evoluzione, imparare a essere i primi responsabili di noi stessi.
Che significa
osservarsi, affinare l’ascolto di sé in modo da accorgersi, molto prima della comparsa del sintomo, che c’è qualcosa che non funziona. E, di conseguenza, intervenire subito per cercare di ristabilire l’equilibrio prima che la situazione peggiori.
Significa anche capire che non siamo separati dall’ambiente in cui viviamo e dagli altri esseri viventi. Siamo in rapporto con tutto come, del resto, nel nostro organismo tutto è interconnesso e ogni eventuale malattia o disturbo non interessa mai un organo singolo.

 

Diventa, allora, possibile curarsi da soli, essere noi il primo medico di noi stessi, poiché al centro c’è – e deve rimanere – l’individuo che si trova in una precisa situazione storica e sociale e in un preciso momento della sua vita e solo l’individuo può arrivare a comprendere fino in fondo qual è la sua condizione personale attuale, le cause che possono averla determinata e quindi lavorarci.
Non si tratta ovviamente di eliminare o sottovalutare la competenza e il contributo del “tecnico” o di voler eliminare il sapere scientifico, ma di recuperare il PROPRIO potere PERSONALE, un potere di discernimento e di scelta che deve rimanere sempre nelle nostre mani anche quando ci rivolgiamo a chi ha determinate conoscenze e competenze.
Questo significa divenire soggetti della propria salute e controllori, anziché oggetti e controllati.